martedì 24 maggio 2011

La lotta contro gli Invalsi

Questo è un articolo pubblicato da Repubblica di Tito Boeri, economista, che contesta la rivolta contro i test Invalsi. Confesso di non avere ben compreso i motivi della protesta. Alla radio ho sentito qualcuno dire che gli insegnanti non si valutano, affermazione che mi ha lasciato un po' perplesso. E mi è venuta in mente la Manzoni e la Qualità percepita.
Se ogni scuola svolgesse al completo e con tutti i crismi gli Invalsi, i risultati potrebbero essere raccolti su un sito in modo da fornire elementi oggettivi di giudizio ai genitori che sono in dubbio fra un istituto e l'altro. Magari scopriremmo che la Manzoni è di un livello eccezionale oppure che ci siamo illusi e che c'è un po' di lavoro da fare rispetto a scuole meno blasonate.
Purtroppo in Italia avere dati pubblici è sempre molto difficile. Anche se potrebbero essere molto utili ai cittadini.
Luigi


II costo della rivolta contro i test Invalsi
di Tito Boeri
Solo a settembre sapremo quali sono le conseguenze della "rivolta" contro i test Invalsi nelle scuole
superiori, quanti esami sono stati consegnati in bianco, quanti studenti hanno disertato le prove.
Solo a settembre sapremo quali sono le conseguenze della "rivolta" contro i test Invalsi nelle scuole
superiori, quanti esami sono stati consegnati in bianco, quanti studenti hanno disertato le prove.
Sapremo anche quanti docenti hanno permesso che i loro studenti copiassero gli uni dagli altri,
rendendo il test di apprendimento del tutto inutile.

Ma è tempo già ora di organizzare la rivolta di coloro che pagheranno il costo di queste "agitazioni": i docenti, a partire da chi si è visto invalidare il test sulla propria materia da un collega che magari non li ha neanche informati della sua intenzione di boicottare l´esame, gli studenti e le loro famiglie.

La rivolta contro l´invalidazione degli Invalsi dovrebbe andare ben al di là della difesa di queste
prove. Come tutti i test, anche gli Invalsi sono perfettibili, a partire dalle modalità con cui vengono
svolte e valutate le prove.

Ci devono essere ispettori che controllino che agli studenti non venga
permesso di copiare e i risultati devono essere valutati da docenti diversi da quelli degli allievi che
hanno sostenuto la prova, che hanno tutti gli incentivi a far fare bella figura ai propri studenti.

Bisognerebbe, al contempo, raccogliere informazioni sugli studenti assenti alle prove in modo tale
da dissuadere gli istituti dall´incoraggiare assenze selettive degli studenti con le performance
peggiori. A questo punto i risultati dei test potrebbero essere resi pubblici, scuola per scuola senza
timore di fornire segnali fuorvianti alle famiglie. Che devono comunque chiedere alle scuole
informazioni aggiuntive rispetto ai test.

Ad esempio, nell´era di Internet ogni docente dovrebbe affiggere sulla pagina web della scuola una nota in cui descrive a grandi linee come intende organizzare il programma di insegnamento e illustrare i propri metodi didattici e criteri di valutazione.

Il nostro sistema scolastico permette alle famiglie, soprattutto nelle grandi città, di scegliere la
scuola a cui iscrivere i propri figli. Ci sono vincoli in questa scelta, ma molto meno che in altri
paesi, dove l´iscrizione è dettata unicamente dalla residenza.

Questa maggiore possibilità di scelta dovrebbe fondarsi su informazioni adeguate sul valore aggiunto offerto dai diversi istituti alla formazione di chi si prepara per il mondo del lavoro. Invece paradossalmente in Italia ci sono meno informazioni che altrove sui contenuti formativi dei programmi didattici, sugli sbocchi professionali e sull´accesso all´università dei diplomati nei diversi istituti.

A cosa si deve questo paradosso? Ci sono sicuramente barriere di natura ideologica ad ogni tipo di
valutazione svolta dall´esterno. C´è poco da argomentare contro i pregiudizi. Bene ricordare un
vecchio adagio popolare: "se non ti poni il problema di misurare una cosa, significa che quella cosa
per te non ha alcun valore". Chi non vuole misurare la qualità dell´istruzione, non assegna alcuna
importanza alla scuola.


C´è poi il rifiuto dei test standardizzati. Molti docenti ritengono che solo loro siano in grado di
definire parametri di valutazione adeguati, che tengano conto della specificità del loro programma
di insegnamento. La ragione ultima, talvolta inconsapevole, di queste obiezioni è che chi viene
valutato vorrebbe sempre costruirsi il proprio test.

Quelli standardizzati servono proprio ad evitare che i docenti scelgano di adottare criteri di valutazione favorevoli ai propri studenti, dunque a se stessi. E permettono di svolgere comparazioni del livello di apprendimento prima e dopo l´operato di un docente, oltre che fra classi e scuole diverse.

Ci sono poi i timori di alcuni docenti che la valutazione possa ritorcersi contro di loro. Nel caso dei
bravi docenti sono paure del tutto infondate: i miglioramenti compiuti dagli studenti nelle loro
materie vengono ben monitorati da questi test che, non a caso, sono in genere molto coerenti fra di
loro.

Non è neanche vero che le prove distolgano le scuole dal perseguimento dei programmi
didattici inducendole a preparare gli studenti per i test, anziché perseguire i programmi didattici. Le
conoscenze che i test intendono valutare sono parte integrante degli standard minimi educativi. E
non è affatto detto che il cosiddetto "teaching to the test", insegnamento finalizzato a una migliore
performance nel test, sia efficace.

Ma forse gli ostacoli più forti al miglioramento delle informazioni sulla qualità del nostro sistema
scolastico vengono dalla politica. Senza questi dati non è possibile valutare le tante piccole
modifiche, più di facciata che di sostanza, apportate da ministri che vogliono solo apporre una
bandierina, mostrare di avere fatto una "riforma" che immancabilmente porta il loro nome. La
mancanza di valutazione rafforza la discrezionalità della politica. Può fare tutti i cambiamenti che
vuole, magari definendoli sperimentali. Tanto poi non ci sarà nessuno in grado di valutarne gli
effetti.

I test standardizzati permettono di valutare queste pseudo-riforme. Ad esempio, uno studio
condotto da Erich Battistin, Ilaria Covizzi e Antonio Schizzerotto dell´Irvapp di Trento e basato
proprio sui test Invalsi ha dimostrato che il ripristino dei cosiddetti esami a settembre (al posto del
recupero dei debiti formativi in corso d´anno) ha accentuato le differenze quanto a conoscenze
linguistiche tra studenti liceali e studenti di scuole tecnico-professionali, peggiorando la qualità
dell´istruzione soprattutto per chi viene da famiglie con redditi più bassi.

Chi oggi rifiuta le valutazioni in nome dell´egualitarismo dovrebbe riflettere su questo risultato. Senza le informazioni offerte dai test standardizzati la battaglia contro la scuola di classe rischia di avere le armi spuntate.

La Repubblica 22/05/2011

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